Per uno che ci appartiene

Io penso che Gianfranco, gia da bambino, progettava avventure e si struggeva di nostalgia di fronte agli orizzonti. Posso anche immaginarlo inquieto adolescente in una terra, la Lucania, magica, ma intrisa di antichi retaggi e resistenze storiche. E Gianfranco in questa terra, in questi paesi “dove non si può entrare senza una sottile chiave di magia”, andava alla ricerca di progetti e di fatti nuovi da vivere. Tra il rimanere e l’andare, scelse il partire, pur conservando affetti e mitologie che lo hanno legato sino a sentire più forte la spinta del ritorno. “Dare è un piacere che dà vita” ripetono i grandi saggi, e chi frequenta e conosce a fondo Gianfranco nell’impegno professionale, nei rapporti privati, sa che ha sempre dato per avere soprattutto amicizia. Un’amicizia mai condizionata dai successi professionali che, con intelligenza, capacità e caparbietà ha perseguito raggiungendo quel primato che lo ha reso noto nella comunità medico-scientifica italiana. L’ho scoperto varie volte a frugare tra cartigli d’arte, libri di memorie municipali — la dannazione del lucano che ha avuto bisogno di confrontarsi col mondo — in una costante meravigliata scoperta (o riscoperta) di sé, del proprio lavoro e della sua terra che racconta, aggiunge sfumature, moltiplica itinerari e li affolla di testimonianze. E si tratta sempre di testimonianze esemplari. Per questo Gianfranco è uno che ci appartiene. Per questo gli devo un debito di ispirazione. Io non so in quale mese, in quale giorno, in quale città del sud o del nord cominciò la sua avventura. Era di sicuro un giorno fortunato per i tanti amici, conoscenti, ma soprattutto “pazienti” ai quali ha ridato salute e luce al sorriso.